Lo scorso 21 aprile, il lunedì dell’Angelo, così chiamato in ricordo dell’Angelo che apparve alle donne accorse al sepolcro di Gesù, per annunciare loro che Cristo era risorto, il Santo Padre, Jorge Mario Bergoglio, si è spento ed è tornato alla casa del Padre.
Un evento straordinario non solo per la cristianità, ma per il mondo intero.
Jorge Mario Bergoglio, contestualmente alla sua elezione al soglio pontificio avvenuta il 13 marzo del 2013, scelse il nome di Francesco.
Già in questa scelta risiede il senso più profondo della sua missione e dell’indirizzo dato al suo pontificato.
Il riferimento è, ovviamente, a San Francesco d’Assisi, poeta e religioso italiano, fondatore dell’ordine dei Frati Minori, venerato dalla Chiesa come Santo. San Francesco ad un certo punto della sua vita decise di spogliarsi di tutti i beni terreni e di condurre una vita umile.
Dal giorno dell’ascesa al soglio pontificio Papa Francesco ha fatto dell’umiltà la sua cifra, entrando nei cuori dei fedeli e non solo, avvicinando alla cristianità giovani e meno giovani.
Papa Francesco ha reso la chiesa cattolica più umana agli occhi del mondo.
Fin dall’inizio del suo pontificato, infatti, il Pontefice ha deciso di rompere le più solenni tradizioni, manifestando una decisa volontà di cambiamento.
Da poco eletto al soglio pontificio, nel luglio del 2013, il Santo Padre si recò a Lampedusa, l’isola siciliana che è divenuta tristemente simbolo della crisi migratoria, e da lì rivolse la sua condanna dell’indifferenza del mondo intero al destino tragico dei migranti morti in mare.
Quel monito altro non è stato che una decisa difesa degli ultimi, dei meno fortunati.
Il suo pontificato è stato scandito da altri gesti di straordinaria importanza quali: il viaggio in Terra Santa, durante il quale ha incontrato leader ebrei e musulmani, sottolineando l’importanza di un dialogo costruttivo e rispettoso tra religioni; l’indizione, nel 2015, del Giubileo della Misericordia; l’apertura di un dialogo con l’Oriente; il viaggio di pace in Iraq, la scomunica dei mafiosi e il suo concreto impegno nella lotta alla criminalità organizzata.
Con grande umiltà è salito al soglio Pontificio e con altrettanta umiltà ha lasciato questo mondo terreno, scegliendo di farsi seppellire fuori dal Vaticano, nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, di farsi tumulare, non con le babbucce papali, ma con le sue scarpe logore e, soprattutto, scegliendo una bara semplice e umile, rinunciando al catafalco tradizionale.
Ripercorrendo tutto il suo pontificato, due parole mi vengono in mente, adatte a riassumerlo e a rappresentarlo: fratellanza e umiltà.
E di fratellanza parla il bellissimo libro dello psicoanalista Massimo Recalcati “Il gesto di Caino”.
Il gesto di Caino, figlio di Adamo ed Eva, che uccide il fratello Abele, è senza pietà.
È da questo gesto di violenza che nasce la storia dell’uomo. Se la fratellanza è l’ultima parola a cui approda il discorso biblico, la prima parola è proprio il gesto di Caino che uccide il fratello.
La narrazione biblica non racconta un’umanità senza senza ombre, ma anzi riconosce che la tentazione dell’odio alberga nell’uomo e che essa viene prima dell’amore.
Il sangue di Abele sparso sulla terra da Caino segna la nascita dell’uomo, che non nasce quindi buono.
Il crimine nasce con l’uomo.
Massimo Recalcati, in questo libro, approfondisce il senso e l’origine di questa violenza.
Nella violenza di Caino, che è la violenza dell’uomo, c’è il narcisismo del desiderio umano.
L’uomo aspira ad essere Dio e questo lo porta a uccidere, a distruggere ciò che è altro da sé.
Il desiderio umano rifiuta l’Altro, nega la mancanza e la violenza dell’uomo si scaglia innanzitutto verso il linguaggio. La Legge dalla parola, infatti, nega la possibilità dell’assenza di mancanza, di esistere senza l’Altro.
Il desiderio umano vorrebbe invece che l’uomo bastasse a se stesso, ma la mancanza caratterizza l’esistenza umana, sin dalla sua nascita.
Come dice l’autore, “colpire il prossimo viene prima dell’amore per il prossimo”.
Il prossimo, l’Altro verso cui Caino indirizza la sua violenza, rappresenta il limite interiore.
L’odio di Caino verso Abele, del fratello verso il proprio consanguineo, è l’odio dell’uomo verso l’Altro che turba e nega l’assolutezza e l’indipendenza del soggetto.
Un grande esempio di trasgressione, a tutti noto, caratterizza il racconto biblico: la vicenda di Adamo ed Eva che trasgrediscono la legge divina che proibiva loro di cogliere il frutto dall’albero della conoscenza del bene e del male. Il divieto, quindi, di accedere all’albero della conoscenza.
Questo ci porta certamente ad affermare che il crimine rivela la più profonda umanità dell’uomo.
La trasgressione del Logos altro non è che desiderio narcisistico di essere Dio, di annullare la mancanza, di uccidere l’Altro.
Ciascuno di noi quindi è Caino.
Abele è l’Altro, il Due e Caino, uccidendolo, manifesta il suo rifiuto dell’alterità, ma anche della sua propria singolarità, sottolinea Recalcati.
Il fratricidio di Abele è la manifestazione della volontà di Caino di distruggere la relazione con l’Altro, dell’odio invidioso e dell’amore narcisistico.
Ciascuno di noi è Caino. La paura dell’Altro, del diverso da noi non è solo di Caino, ma è propria dell’uomo, della sua debolezza. Per questo nell’altro vediamo un nemico da combattere, un intruso, un usurpatore. La psicoanalisi definisce col termine “proiezione” quel processo psichico di difesa che
consiste nel localizzare nello straniero e nel diverso quelle parti più oscure di noi stessi che non riusciamo a integrare nella nostra personalità umana
Ogni forma di razzismo si basa proprio sull’odio per l’altro da sé che è paura dell’altro. L’Altro è colui che impedisce che il mondo abbia la mia immagine.
Ma il gesto di Caino è anche manifestazione di invidia per il fratello Abele. Abele rappresenta tutto quello che Caino vorrebbe essere e, per questo, lo vuole uccidere.
Caino è mosso dal suo narcisismo, dal suo amore per se stesso, che è totalizzante e distruttivo.
La nostra vita, riflette Recalcati, non è altro che una continua ricerca della coincidenza perfetta tra il nostro essere reale e l’immagine narcisistica di noi stessi.
Ma qual è l’eredità di Caino?
Per umanizzare la propria esistenza bisogna rinunciare alla violenza, ma per farlo si deve passare inevitabilmente attraverso la violenza.
La fratellanza quindi è frutto di una costruzione. Essa non è insita nel legame di sangue tra due persone.
Tornando alla vicenda biblica, Caino riconosce la sua colpa e Dio non lo assolve, ma lo protegge, stabilendo che nessuno gli faccia del male: “Nessuno tocchi Caino”. Caino con la sua esistenza è memoria del lutto.
Un insegnamento di fratellanza, intesa come costruzione, ce la lascia papa Francesco.
In un suo intervento in occasione della celebrazione virtuale per la prima Giornata Internazionale della Fratellanza Umana, il Pontefice disse : “Siamo fratelli, nati da uno stesso Padre. Con culture, tradizioni diverse, ma tutti fratelli. E nel rispetto delle nostre culture e tradizioni diverse, delle nostre cittadinanze diverse, bisogna costruire questa fratellanza”.
Questa è l’eredita di Caino e questo l’insegnamento di Papa Francesco: “costruire ponti e non muri”.
“Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia”.
Queste sono le parole pronunciate dal Santo Padre durante la veglia di preghiera con i giovani al Campus Misericordiae durante la XXXI Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia, nel 2016.
CAINO E LA SUA EREDITA’

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